di Giada Liuzzi
Questo editoriale non poteva che essere dedicato ad un grande fotografo che ci ha da poco lasciati a causa di questo virus che da oltre un anno tiene tutti noi con le spalle al muro, il grandissimo Giovanni Gastel.
Io credo di averlo conosciuto relativamente tardi, era il 2015.
Mio marito stava guardando una sua intervista su Sky Arte e devo dire che sono rimasta fortemente affascinata soprattutto dalla persona perché della sua arte non conoscevo nulla.
Un’intervista meravigliosa e, per me che amo la musica e potrei descrivere ogni mio giorno con delle note diverse, ecco per me non è stata solo meravigliosa ma a tratti anche commovente!
Visto che l’ho conosciuto in quella circostanza vorrei ricordarlo su questo magazine proprio raccontando quell’ intervista!
Fu chiamato da Luciano Bernardini, neoeditore di Rolling Stone a collaborare ritraendo i volti della musica proprio per la copertina del famoso periodico statunitense.
Come dicevo, ho iniziato ad ascoltare quell’intervista perché Eugenio è rimasto colpito dalla gabbia di LED creata da Gastel proprio per fotografare tutti gli artisti e, come spesso accade, quando Eugenio mostra interesse per qualcosa io penso subito al prossimo regalo da fargli…
Diciamo che volevo provare a costruirne una ma il lavoro si è bloccato a metà e il regalo successivo è stato un altro.
Ma tornando alle mie intenzioni, per capire bene come fosse fatta questa gabbia di LED ho riguardato in solitaria quell’intervista tantissime volte tanto da ricordare ogni dettaglio poetico delle parole di Gastel.
Il suo percorso inizia in uno scantinato e questo è un passaggio da non sottovalutare, è l’esempio di come nella vita con coerenza e tanto impegno si possa riuscire e si possa arrivare a sfiorare i propri sogni.
Mi è piaciuto ascoltarlo, mi è piaciuto trovare così semplice e vero ogni suo pensiero.
Gastel spiega che quando scatta la foto giusta lui sente un senso di rilassatezza, fa proprio un sospiro e dice che questa sensazione è più facile da provare quando si è giovani, quando ancora non si è sperimentato e soprattutto studiato tanto: più si studia e più ci si mette in discussione.
L’eleganza per lui è un concetto di ordine morale ed egli ha cercato la sua estetica dentro questo termine.
Non è un caso visto che ogni sua parola, la sua dizione e pure ogni sua movenza sono esempio di eleganza.
In un attimo spiega come la fotografia non abbia un gran rapporto con la realtà perché “la realtà è eterno movimento, la fotografia è eterna immobilità”. Quell’immobilità che ci consente di creare il ricordo di un
momento e soprattutto di una persona, di vederla sempre così anche in un tempo lontano.
Una fra le cose più belle che gli ho sentito dire e per cui ho sorriso è che il difetto non esiste. “Ovvero la bellezza è un insieme di difetti” e un bravo fotografo deve trasformare una serie di difetti in un’armonia.
A sentire queste parole mi è sembrato che la sua bravura lo avesse fatto riuscire sempre nell’intento di creare un grande ritratto che fosse soprattutto espressivo; in realtà poi precisa che a volte gli capita di
fotografare persone con poca anima e lui vede letteralmente il muro che sta dietro il soggetto perché quello non si apre e non riesce a far vedere la propria anima.
Per questi appuntamenti con i musicisti non ha utilizzato schemi già provati: ha pensato a questa gabbia LED per creare un’immagine del soggetto come se fosse davanti ad uno specchio.
Non ha voluto truccatori nè parrucchieri perché i musicisti hanno già una propria immagine ma ha detto chiaramente di aver cercato in qualche modo la verità da ciascuno di loro.
Quando siamo davanti ad un obiettivo vogliamo mettere in campo la parte migliore di noi e in quel momento è inevitabile una certa recitazione che lui interrompe con l’utilizzo delle mani “Le mani sono la seconda faccia che abbiamo“. Chiede agli artisti di fare dei gesti con le loro mani, li fa camminare avanti indietro e poi…per lui poche frazioni di secondo per scattare!
Ho davvero pensato “Che fortuna questi artisti ad avere in memoria un loro scatto realizzato da Gastel!”
Ci racconta come le persone creative abbiano un’anomalia in comune dicendo “C’è qualcuno che dice che il mondo è talmente tanto pieno di bellezza che bisogna essere dei pazzi a cercare di aggiungerne un pezzo, ecco! Noi siamo quei pazzi lì “
Definisce il suo stile pieno di errori ma è proprio la ripetitività dell’errore a fare lo stile!
Mi ha davvero colpito molto la semplicità e la sincerità con le quali ha raccontato questa esperienza, la sua emozione prima di conoscere artisti da lui amati, come De Gregori che gli ha fatto pensare “mamma mia!
Speriamo che non sia diverso da come l’ho immaginato tutta la vita!” per scoprire felicemente che lo conosceva già bene perché in tutti quegli anni gli aveva sempre detto la verità!
Mi piace che per tutta l’intervista le parole “verità” ed “eleganza” siano state essenza!
Grazie Gastel per questo piccolo stralcio e per tutto quanto il resto.
“Ho sempre fotografato, pensato e scritto con una base musicale”
G.Gastel